La poesia combatte col rasoio

È il titolo di una poesia di Domenico di Giovanni detto il Burchiello, autore quattrocentesco che seppe mescolare argutamente il doppio senso e il nonsense al suo linguaggio riccamente popolareggiante.
Una di quelle rare perle che la poesia ogni tanto offre. Adatto agli amanti degli autori che pur non appartenendo alla tradizione colta, meritano più di una lettura, come Cecco Angiolieri ad esempio.
Ma a differenza di Cecco, il Burchiello non solo si lamentava della sua sorte di poeta affamato o della donna che l'aveva tradito ma criptava la sua scrittura al punto che oggi difficilmente riusciamo a scoprire che volesse dire, a chi si rivolgesse con esattezza.

Nella poesia che intitola questo post però, il Burchiello parla di qualcosa di più intelligibile che è un tema ricorrente nella storia della letteratura e cioè, la lotta tra il disperato bisogno di poetare e l'ineludibile necessità di mangiare.

Ciò che è notevole è la conclusione alla quale arriva il Burchiello verso la fine del suo sonetto caudato: ormai non gli interessa quale dei due vinca nel combattimento, se la poesia o il rasoio, se la vocazione della sua anima o il mestiere che gli fa guadagnare da vivere. L'importante è che uno dei due gli paghi il vino!

Credo che ce ne sia da imparare. Che Domenico di Giovanni sia riuscito a capire questo già all'ora è meritevole, qualcosa che potrebbero imparare da lui tanti cosiddetti artisti che si dibattono tra la loro arte e i loro mezzi di sostentamento.

Ma ecco il sonetto:

La poesia combatte col rasoio
e spesso hanno per me di gran quistioni;
ella dicendo a lui: "Per che cagioni
mi cav'il mio Burchiel dello scrittoio?".

Ed ei ringhiera fa del colatoio
e va in bigoncia a dir le sue ragioni,
e comincia: "Io ti prego mi perdoni,
donna, s'alquanto nel parlar ti noio.

S'io non foss'io, e l'acqua e 'l ranno caldo,
Burchiel si rimarrebbe in su 'l colore
d'un moccolin di cera di smeraldo".

Ed ella a lui: "Tu se' in gran errore,
d'un tal desio porta il suo petto caldo,
ch'egli non ha in sí vil bassezza il core".

Ed io: "Non piú romore,
che non ci corra la secchia e 'l bacino;
ma chi meglio mi vuol mi paghi il vino".

Da: Il Burchiello (Domenico di Giovanni), Rime

Commenti

Unknown ha detto…
non si dovrebbe dimenticare che anche l'arte è un mestiere, nel senso migliore del termine, e che non ha senso cercare contraddizioni, precedenze o gerarchie dove non ne esistono
m.
Dave ha detto…
già, l'arte è un mestiere che ti svegli quando vuoi e non hai capi. ma soprattutto, non ricevi uno stipendio. e nemmeno ti deve interessare. sennò non è più arte, ma solo un bel mestiere. prima di lavorare comunque bisogna mangiare.

stasera due di quelle strane parole di verifica che devi inserire contenevano le parole 'joy' e 'sabba'. niente di troppo strano se non fosse che sto leggendo "il maestro e margherita", e ho da poco passato il capitolo in cui c'è un sabba veramente gioioso... stanotte ultimo capitolo.

questa è coincidenza?

le coincidenze ed il destino hanno un legame fisico-matematico? potremmo cioè essere noi stessi ad 'evocarle' in un qualche modo? o magari che siano state già 'scritte' apposta per noi?
tipo da una musa-fata che ci 'accompagna' come una 'corista'.
sto un po' spaziando, grazie anche a te però!

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